L’EMDR (eye movement desensization and reprocessing) è considerato il metodo terapeutico d’elezione per il trattamento del trauma psicologico. Nato da una casuale scoperta alla fine degli anni ‘80, è stato nel corso dei decenni successivi sottoposto ad intensa sperimentazione e ricerca e gode oggi di solide basi scientifiche.

Nelle scorse settimane abbiamo approfondito insieme nelle storie di Instagram cosa intendiamo per trauma in psicologia e abbiamo visto come gli eventi traumatici vengano immagazzinati in memoria così come sono, senza essere sottoposti cioè  a un processo di elaborazione. L’evento negativo vissuto è infatti connotato da una condizione di pericolo che porta il nostro cervello a produrre in quel momento adrenalina e cortisolo: quest’ultimo fissa il ricordo così com’è, isolandolo e non permettendone l’integrazione con reti neurali più adattive.

L’EMDR consente al cervello di elaborare il ricordo traumatico attraverso i movimenti oculari, i quali comportano una rapida progressione di connessioni intrapsichiche come emozioni, insights, sensazioni e altri ricordi. Si creano così connessioni neurali nuove e più adattive: il ricordo non è più isolato, ma adeguatamente integrato in una rete mnemonica più ampia. Quindi, in altre parole, elaborato.

Il ricordo dell’evento negativo certamente resta, ma essendo stato sottoposto a un processo di desensibilizzazione e rielaborazione, non comporta più ripercussioni negative sul presente: è visto e considerato attraverso una prospettiva nuova e adulta.

La salute mentale, infatti, è legata a esperienze positive e a esperienze negative (perché non possiamo certamente impedire che accadano) elaborate.